amore, narcisismo e relazioni patologiche
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SPEZZARE GLI SCHEMI DELLA DIPENDENZA AFFETTIVA (SECCI) Empty SPEZZARE GLI SCHEMI DELLA DIPENDENZA AFFETTIVA (SECCI)

Lun Nov 27, 2017 10:00 pm
Le dipendenze resistono al cambiamento perché garantiscono vantaggi secondari a chi ne soffre (alleviano temporaneamente il disagio e la sofferenza che provocano), si innestano e si ramificano profondamente nel quotidiano, sino a diventare elementi centrali dell’esistenza. In particolare, le dipendenze relazionali e affettive si distinguono dalle altre per il fatto che si strutturano dentro sistemi “interattivi”: sono l’unico caso in cui “la droga” ha gambe per inseguire chi cerca di mettere fine al dolore, braccia per richiamare nel vortice, parole per riacchiappare chi scappa.
Un fatto contro-intuitivo ma frequentissimo è che, anche quando il rapporto è gravemente deteriorato e il “carnefice” respinge apertamente il suo omologo dipendente, finisce per cercarlo non appena avverte che si allontana. Può accadere subito, oppure dopo mesi o anni, ma si verifica quasi regolarmente e ciò rende difficile il distacco completo, a meno che gli schemi psicologici, emotivi, cognitivi e comportamentali dell’individuo dipendente non siano profondamente e drasticamente mutati.
Per spezzare gli schemi della dipendenza affettiva occorre per prima cosa abbandonare la logica e mettere da parte il buon senso comune. Lo dimostra il fatto che chi vive una storia di mal d’amore a livello razionale comprende perfettamente l’assurdità e la patologia del proprio attaccamento e, malgrado ciò, è incapace di uscirne. Inoltre, la tendenza a parlare con gli amici del proprio problema circonda il dipendente affettivo di consiglieri che lo esortano a cambiare facendo leva proprio sulla logica senza ottenere altro risultato che aggravare il suo senso di inadeguatezza e di disperazione.
Nella palude del mal d’amore, dove ogni vicenda è diversa e irripetibile, è difficile individuare strategie universali per svincolarsi. Tuttavia, quattro accorgimenti possono rivelarsi utili allo scopo:
1) assumersi la responsabilità della dipendenza relazionale;
2) riconoscere gli schemi dell’altro;
3) recuperare l’autostima: cambiare il linguaggio;
4) attenersi al principio di reciprocità.

Assumersi la responsabilità della dipendenza relazionale
Per uscire da una dipendenza affettiva è importante capire che solo chi la patisce ha il potere di farlo e non può contare in alcun modo sull’aiuto del partner. Giungere a questa consapevolezza è già un passo verso la liberazione: l’altro non ci lascerà liberi, a meno che non affermiamo con forza e determinazione il nostro bisogno di amare davvero e di essere riamati. La “vittima” del mal d’amore ha in genere una percezione completamente diversa, quella di essere un ostaggio, di vivere soggiogata dalle mosse del partner, anche quando tace o si inalbera per lunghi periodi. Questa idea ostacola la decisione di interrompere il rapporto e, allo stesso tempo, alimenta la speranza vana che prima o poi le cose miglioreranno.
Molte storie di dipendenza si trascinano in sequenze interminabili di “chiarimenti”, scadenze mai rispettate, riconciliazioni temporanee e accordi di pseudo-amicizia che da un punto di vista razionale dovrebbero alleviare il dolore della separazione, ma sul piano emotivo rappresentano stratagemmi per evitare il distacco.
Se una relazione procura sofferenza, occorre riconoscere che il problema viene alimentato, a livello per lo più inconsapevole, quotidianamente e continuamente. Telefonate, lettere, sms, profili facebook sono in molti casi il motore della dipendenza, perché veicolano messaggi facilmente fraintendibili, messaggi che mantengono l’ambiguità affettiva e la speranza utopistica di realizzare, prima o poi, una relazione d’amore equilibrato e funzionale.
E’ certo una considerazione banale, ma cruciale: per interrompere la dipendenza bisogna astenersi dalla comunicazione e stare a vedere cosa succede. Proprio come accade quando ci si disintossica da sostanze, dopo un periodo di sospensione dei contatti col partner, si comincia a state meglio e a vederci più chiaro. Soprattutto, si sente che il distacco non solo è possibile, ma è necessario.
Questo primo snodo dipende dalla capacità di riconoscere le proprie responsabilità nel mantenimento del problema e, allo stesso tempo, dall’esigenza di smettere di convogliare per intero la propria attenzione sull’altro allo scopo di compiacerlo per facilitare un cambiamento che non avverrà. Prendersi responsabilità vuol dire ricostruire la storia che si sta vivendo e identificare con chiarezza le volte in cui si è stati incongruenti e dissonanti con la propria intuizione. Si scopre così che la dipendenza affettiva non è che un grande auto-inganno reiterato sino all’esasperazione con l’obiettivo di realizzare a tutti i costi “un modello amoroso interiorizzato”, un’utopia, e di farlo a prescindere dalle qualità dell’altro e dal suo contributo alla relazione.
Un elemento che mi colpisce nelle storie dei miei pazienti è che sin dalla prima conoscenza la gran parte di loro non provava alcun interesse verso la persona che poi è diventata ossessione. “Non mi piaceva proprio”, “Sentivo che non era il mio tipo”, ho sentito centinaia di volte queste parole come fossero scritte nel copione del mal d’amore. E il copione comincia con la decisione di investire sulla storia, sebbene l’intuizione suggerisse da subito l’esatto contrario. Ipotizzo che, al di là dell’apparenza emotivamente sconsolante e del grado di instabilità esistenziale che procura, il mal d’amore sia in realtà provocato e mantenuto dalla ragione e non dal cuore o, per meglio dire, dipenda dalla scissura che si produce progressivamente tra razionalità ed emotività. Si vuole credere (parte razionale) di amare perché se ne ha bisogno e, in virtù di questo bisogno (parte emotiva) si intraprende la storia; poiché si investe sentimentalmente, per un principio di coerenza cognitiva, ci si convince gradualmente di essere innamorati e di amare, illusione che aumenta mano a mano che l’altro frustra le nostre aspettative. Sempre per un principio di coerenza cognitiva, a fronte dei comportamenti improvvisamente incostanti del partner – che appaiono illogici – il dipendente affettivo costruisce un castello di sabbia fatto di razionalizzazioni finalizzate a proteggere e rinforzare l’utopia. Gli indizi più evidenti di tali razionalizzazioni sono il tentativo di giustificare le mancanze del partner, rivolgendo contro di sé ogni responsabilità sulla deriva del rapporto.
Assumersi la responsabilità della dipendenza significa acquisire un nuovo sguardo sulla vicenda “amorosa” e riconoscere il ruolo dei nostri comportamenti, pensieri ed emozioni nel tenere in piedi qualcosa che non regge e che, soprattutto, non è amore ma dipendenza.
Enrico Maria Secci, Blog Therapy

Riconoscere gli schemi dell’altro
Chiamare le cose col loro nome ci aiuta a capirle. Per questo motivo ridefinire come dipendenza il sentimento d’amore permette di acquisire gradualmente un punto di vista molto diverso sulla relazione e agevolare il distacco.
Chi dipende affettivamente dall’altro è sospeso tra due tendenze opposte: quella di concentrare la propria attenzione sui comportamenti del partner e di interpretarli secondo il proprio modello del mondo e quella di considerare se stesso come causa della relazione disfunzionale. Così facendo, ogni assenza, ogni gesto e ogni comunicazione del partner vengono fraintesi e danno luogo a catene ininterrotte di dolorose incomprensioni.
Uno schema generale di chi partecipa alla relazione dipendente nelle sue più diverse declinazioni è l’incongruenza tra fatti e parole. Per esempio, si afferma di non amare l’altro (vero), ma lo si cerca di continuo e, a tratti, gli si parla con una tenerezza che lascia sperare. Oppure si afferma di amare (falso) ma i comportamenti dimostrano l’esatto contrario: distrazioni, impedimenti o franche e aperte aggressioni si contrappongono al sentimento dichiarato. Gli schemi del partner apparentemente “sano, indipendente e autonomo” tendono a strutturare una pseudo-realtà amorosa cui chi soffre di mal d’amore crede ciecamente, pur patendo il costante, incomprensibile, l’agito e il dichiarato.
La sfida più complessa, almeno all’inizio, è quella di smettere di interpretare i messaggi del partner secondo le proprie aspettative o filtrarli attraverso la paura dell’abbandono e leggerli per quello che semplicemente sono: trappole, guinzagli, catene, gioghi psicologici. Manovre che l’altro utilizza per lo più inconsapevolmente ma che servono a bloccare il partner dipendente nella relazione in modo da mantenere un vantaggio narcisistico che non ha nulla a che fare col sentimento d’amore che simulano.


Recuperare l’autostima: cambiare il linguaggio
Uscire per sempre dalla dipendenza affettiva vuol dire recuperare il senso di sé e il proprio valore. Ritrovare la convinzione e la forza per affermare un diritto alla gioia, alla serenità e all’equilibrio che non dipenda dall’avere una relazione, né sia subordinato al giudizio degli altri o alla ricerca della loro approvazione.
Realizzare questo passaggio implica, però, un impegno attivo, a cominciare dal cambiamento del linguaggio con cui ci si riferisce a se stessi, al partner, alla relazione patogena e al mondo esterno. Sembrerebbe un aspetto superficiale e uno stratagemma poco spontaneo, ma le parole con cui definiamo la realtà la plasmano, la influenzano e la trasformano in modo prevedibile. I dipendenti affettivi tendono ad utilizzare un linguaggio negativo, che esprime convinzioni auto-svalutanti o generalizzazioni auto-limitanti. Ecco tipici esempi:
“Sono uno stupido/a.”
“Nessuno può amarmi, se non così.”
“Gli altri riescono a trovare chi li ami e io non ci riuscirò a mai.”
“Non sarò mai felice”
“Lui/lei, nonostante il dolore che mi procura, è l’unico/a che mi ha dimostrato un po’ d’affetto.”
“Gli uomini amano poco.”
Il campionario di queste auto-suggestioni negative sarebbe sterminato e, ogni “verità” del genere condiziona profondamente l’auto-percezione e la capacità decisionale del dipendente affettivo, producendo giorno per giorno un senso di ineluttabilità che lo sprofonda in modo sempre più auto-distruttivo nella relazione disfunzionale o nel suo inseguimento.
Ridefinire se stessi in modo positivo è un passaggio fondamentale per “guarire” dal mal d’amore e, come spesso accade, un cambiamento così cruciale è il frutto di piccoli ma ripetuti tentativi di modificare lo schema mentale che condiziona, spesso a nostra insaputa, ogni scelta e ogni gesto. Riprendere rapporti d’amicizia interrotti o intraprenderne di nuovi, programmare produttivamente la giornata, prendersi cura di sé e, soprattutto, smettere di parlare della tragica storia sentimentale sembrano alternative banali al dolore avviluppante della dipendenza, eppure costituiscono strategie molto efficaci per ricominciare.


Attenersi al “principio di reciprocità”
La reciprocità è un principio elementare della comunicazione umana. Ciò che trasforma un semplice messaggio in una interazione è la risposta generata dal destinatario, risposta che a propria volta determina una reazione -un ulteriore messaggio- e avvia una catena di scambi. L’insieme delle comunicazioni inviate e ricevute tra due o più persone genera emozioni, aspettative, stili e regole di comportamento implicite che orientano momento per momento i soggetti e strutturano la relazione.
La reciprocità è data dall’alternanza con ciascuno riveste il ruolo di emittente e ricevente e, come in una partita a scacchi, è condizionata dall’attesa del proprio turno prima di fare la propria mossa. Quando la reciprocità è rispettata, in una sequenza di tipo io-tu-io-tu-ecc., la comunicazione fluisce, consente alle persone coinvolte di posizionarsi con chiarezza l’una rispetto all’altra e di decidere se e come portare avanti a relazione.
Un concetto semplice e basilare come il principio di reciprocità favorisce la costruzione di rapporti leggibili e non ambigui, permette di delineare confini condivisi e, anche nel conflitto, agevola la ricerca di soluzioni. Per questo è facile osservare che in una coppia, in una famiglia o in un gruppo che funzionano, la reciprocità viene spontaneamente e abitualmente assecondata dai comunicanti o viene velocemente ripristinata nelle situazioni critiche. Viceversa, quando il principio di reciprocità è apertamente e ripetutamente violato, quasi sempre senza che i comunicanti ne abbiano consapevolezza, la relazione diventa frustrante e difficile. Non a caso, schemi d’interazione rigidamente asimmetrici sono una costante nella storia e nelle quotidianità di persone imbrigliate nella dipendenza affettiva, nella depressione, nell’ansia e nel panico. Queste persone in modo pressoché sistematico violano il principio di reciprocità in prima persona o subiscono passivamente le comunicazioni altrui senza rispettare il proprio “turno” nella relazione e senza difenderlo quando l’altro se ne appropria.
Il conflitto interpersonale è l’esempio più chiaro della dinamica e degli effetti della violazione del principio di reciprocità. Le persone tendono a sovrapporre i propri interventi senza ascoltarsi, oppure tacciono rifiutando la comunicazione e abdicando dal proprio turno di parola. Questi comportamenti generano confusione, rabbia e, sulla scia di emozioni negative, ulteriori interruzioni della reciprocità.
Nelle dipendenze affettive la violazione dell’alternanza dei ruoli assume proporzioni spettacolari. C’è sempre un soggetto che “comunica troppo” e uno che “comunica poco”, in modo criptico e incostante o per niente (anche il silenzio è comunicazione). Si alimenta così un disastroso squilibrio comunicativo che mantiene il problema e che impedisce a entrambe le parti di definirsi liberamente l’una rispetto all’altra all’interno di un dialogo comprensibile, anche se a volte doloroso.
Il rifiuto della reciprocità è una costante nella psicopatologia e si esprime principalmente in due modi: nella comunicazione impulsiva, tipica di chi non aspetta che l’altro risponda o non tollera il diritto dell’altro di tacere; nella comunicazione coartata, tipica di chi tende a evitare di reagire ai messaggi ricevuti e adotta uno stile passivo ed evitante in attesa che l’altro faccia per due.
Per spezzare gli schemi della dipendenza affettiva è perciò fondamentale appropriarsi del principio di reciprocità e attuarlo, cioè imparare ad agire solo quando arriva il proprio turno e riconoscere che se l’altro interrompe lo scambio, non c’è alcuna partita da giocare.
Ogni storia di “mal d’amore” è unica, perciò, anche se è possibile delineare modelli generali d’intervento e protocolli terapeuti specifici, l’aiuto a chi patisce le conseguenze del problema può essere efficace solo se fortemente personalizzato e costruito sulla base del vissuto e delle peculiarità psicologiche della persona che, a sua insaputa, mantengono la dipendenza. In questo senso le indicazioni contenute nei paragrafi precedenti non hanno la pretesa di essere esaustive e, meno che mai, di rappresentare suggerimenti decisivi per chi si cimenta nel cambiamento. Tuttavia possono stimolare riflessioni utili per ricominciare e per porsi in modo diverso rispetto all’“amore” che ammala, che ossessiona, che depreda e svaluta anziché arricchire e promuovere l’evoluzione di un’identità positiva, solida e progettuale.
Enrico Maria Secci, Blog Therapy
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