amore, narcisismo e relazioni patologiche
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Il bambino dotato e la ricerca del vero sè - Alice Miller Empty Il bambino dotato e la ricerca del vero sè - Alice Miller

Ven Dic 15, 2017 4:59 pm

http://www.vertici.it/rubriche/print.asp?cod=13406

IL DRAMMA DEL BAMBINO DOTATO
“L’esperienza ci insegna che, nella lotta contro i disagi psichici, alla lunga abbiamo un solo mezzo a disposizione: scoprire a livello emotivo la verità della storia unica e irripetibile che è stata quella della nostra infanzia. Potremo mai liberarci del tutto delle nostre illusioni? Ogni vita è piena di illusioni, proprio perché la verità ci appare insormontabile. E tuttavia la verità ci è talmente indispensabile che ne scontiamo la perdita con gravi malattie. Cerchiamo perciò di scoprire in un lungo processo la nostra personale verità che, prima di donarci un nuovo spazio di libertà, fa sempre soffrire.. a meno che non ci accontentiamo di una conoscenza intellettuale. Ma in tal caso ci ritroveremo ancora una volta immersi nelle illusioni.”

Comincia così questo splendido libro della Miller, la cui prima edizione risale al 1996, con queste parola precedute da un titolo emblematico:” Tutto fuorché la verità”, giacché, come viene più volte ribadito in tutto il saggio, la verità fa male, spesso la verità è sinonimo di dolore. Quale unica via per sfuggire a quella prigione invisibile costruita con le proprie illusioni, la psicologa propone un percorso impervio di ricostruzione del passato, osservando più da vicino le conoscenze di ciò che è stato e che sono memorizzate nel nostro corpo, per accostarle alla propria coscienza per trasformarsi da vittime inconsapevoli del passato, in individui responsabili che conoscono la propria storia e hanno imparato a convivere con essa.

La Miller osserva e analizza da molto vicino ( grazie anche alla sua esperienza trentennale di attività terapeutica) le storie dell’infanzia di molte persone, pazienti, biografie di personaggi famosi, e vi identifica alcuni tratti comuni:”nel passato di costoro era sempre presente una madre profondamente insicura sul piano emotivo, la quale per il proprio equilibrio affettivo dipendeva da un certo comportamento o modo di essere del bambino. Questa insicurezza poteva facilmente restare celata al bambino e alle persone del suo ambiente, nascosta dietro una facciata di durezza autoritaria, o addirittura totalitaria; a questo bisogno della madre o di entrambi i genitori corrispondeva una sorprendente capacità del bambino di percepirlo e di darvi risposta intuitivamente, dunque anche inconsciamente, di assumere cioè la funzione che gli veniva inconsciamente assegnata; in tal modo il bambino si assicurava l’amore dei genitori. Egli avvertiva che di lui di aveva bisogno, e questo legittimava la sua vita a esistere.”

La capacità di adattamento viene sviluppata e perfezionata fino a trasformare questi bambini non solo in madri (confidenti, consolatori, consiglieri, sostegni) delle loro madri, ma anche in aiutanti che si assumono la responsabilità dei fratelli più piccoli; essi, in definitiva, sviluppano una sensibilità tutta particolare per i segnali inconsci dei bisogni altrui. Rimuoverà dunque i suoi bisogni (di amore, di attenzione, di rispecchiamento, ecc…) e le sue reazioni emotive (gelosia, rabbia, paura, ecc…) che risultano inaccettabili dai grandi. Nella vita però quei sentimenti rimossi non saranno completamente cancellati, potranno rinascere come richiamo al passato, senza che però sia comprensibile il contesto originario. L’adattamento ai bisogni dei genitori lo porterà all’incapacità di vivere consciamente tali sentimenti rimossi nell’infanzia e poi nell’età adulta. E questo impedirà lo sviluppo di una personalità autentica, di un Vero Sé.

L’individuo sviluppa un Falso Sé, cioè una personalità in cui appare come ci aspetta che dovrebbe essere. Il suo Vero Sé non può svilupparsi, perché non può essere vissuto. Non potendo abbandonarsi a sentimenti propri e non avendone fatto esperienza, l’individuo non può conoscere i propri bisogni ed è alienato da se stesso.La madre guarda il bambino, il bambino guarda la madre e vi si ritrova… a patto che la madre guardi davvero il suo bambino e non osservi invece in lui le proprie attese e le proprie paure, facendo progetti propri per il figlio e proiettandoli su di lui. In questo caso, nel volto della madre, il bambino non troverà sé stesso, ma le esigenze della madre e continuerà invano, per tutta la vita, a cercare uno specchio che possa sostituirla. Dunque non può separarsi dai genitori e anche da adulto dipenderà perennemente dalla conferma delle persone che rappresentano i genitori. Se invece il bambino cresce con una madre comprensiva e capace di rispecchiarlo, potrà sviluppare gradatamente una sana autostima.

In questa drammatica rappresentazione dell’infanzia , al bambino una volta adulto si apriranno due strade:

1. Quando la madre non è in grado di soddisfare i bisogni del figlio, perché presenta lei stessa delle carenze affettive, cercherà di soddisfare i propri bisogni personali servendosi del bambino e n questa relazione di sfruttamento, manca lo spazio in cui il bambino possa vivere i propri bisogni e sensazioni. Così, in modo adattivo, il bambino sviluppa quegli atteggiamenti di cui la madre ha bisogno e che gli salvano la vita perché gli assicurano l’amore genitoriale, ma alla lunga gli impediranno di essere sé stesso. Così i bisogni naturali tipici di quell’età non saranno integrati nella personalità, ma verranno scissi o rimossi. Per ottenere la tanto agognata ammirazione, il bambino cerca di apparire perfetto agli occhi dei genitori, concentrandosi sul suo aspetto esteriore, sulle apparenze, inibendo anche i propri sentimenti più spontanei, ma questo porterà il suo sé a ripiegarsi su se stesso, a fermarsi in una posizione narcisistica.
2. La seconda strada riguarda la posizione depressiva e si sviluppa dopo che al bambino è stato impedito di vivere liberamente le primissime sensazioni che risultano inaccettabili ai “grandi”, come rabbia, insoddisfazione, collera e addirittura la fame. Questo perché vi sono madri particolarmente ansiose per i malesseri fisici dei propri figli tanto che questi ultimi imparano presto a “non avere sentimenti”, a non piangere, a non avere sentimenti o bisogni, per far “contenta” la madre. Inoltre, la depressione può anche insorgere dalla consapevolezza di non essere riuscito a soddisfare le eccessive attese dei genitori. Se da adulto l’individuo riesce a comprendere queste dinamiche, la depressione regredisce, poiché la sua funzione di difesa non è più necessaria.

Sia il soggetto grandioso che quello depresso negano la realtà della loro infanzia perché vivono entrambi come se si potesse recuperare la disponibilità dei genitori: il grandioso nell’illusione di riuscirvi, il depresso nell’angoscia di perdere la dedizione dei genitori per propria colpa. Nessuno dei due riesce ad accettare la realtà, ad ammettere che nel proprio passato non c’era amore.

Secondo la Miller, non c’è da meravigliarsi che gli individui che hanno passato un’infanzia come quella descritta sopra, che hanno sviluppato una sensibilità particolare verso i bisogni inconsci degli altri, scelgano in seguito la professione di psicoterapeuta.. Ella afferma che la sensibilità dello psicoterapeuta, la sua capacità di provare empatia, rimandano al suo essere stato “usato” da genitori che a loro volta soffrivano di carenze affettive.

Se il terapeuta non ha elaborato la propria condizione passata, c’è il rischio che a sua volta trasferisca sui pazienti i propri bisogni inconsci e che impedisca al paziente il processo della conoscenza delle proprie emozioni. In questo modo però la terapia scivola sul terreno del “Falso Sé”, mentre il Sé autentico resta celato e non si sviluppa. I pazienti, proprio come i figli, sono dei sostituti ottimali, perché:

* anch’essi sono deboli e fragili, e talvolta dipendono come bambini dal terapeuta;
* sanno ascoltare il terapeuta meglio di quanto avrebbe potuto fare il genitore, perciò non è difficile abusare di loro.

Dunque, il terapeuta potrebbe rischiare di esercitare su di loro la stessa manipolazione inconscia alla quale era stato esposto da bambino. Per questo motivo il terapeuta ha l’obbligo morale di imparare a riappropriarsi del proprio passato (cioè deve essere riuscito a sopportare la consapevolezza di essere stato costretto a soddisfare i bisogni inconsci dei genitori a spese della propria autorealizzazione e deve aver elaborato la mancata disponibilità dei genitori nei confronti dei propri bisogni) perché potrebbe avere a sua volta bisogno di manipolare inconsciamente i pazienti, come i genitori avevano fatto con lui, rendendo inutile la terapia.

“Quanto meglio ci orientiamo nella nostra storia personale, tanto meglio possiamo smascherare le manipolazioni, ovunque esse compaiano”. ”Se l’illusione corrisponde pienamente ai nostri bisogni e alle nostre esigenze, allora occorrerà un periodo più lungo prima che noi riusciamo a smascherarla. Ma se saremo in pieno possesso dei nostri sentimenti, anche questa illusione dovrà prima o poi essere sepolta per lasciar emergere la salutare verità.”

Il dramma del bambino dotato rappresenta, a mio parere, un libro indispensabile, uno sguardo critico sul passato comune a ciascuno di noi., un ottimo punto di vista ragionato.
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